Intervista a Raffaele Gaito - Growth Hacker

Intervista a Raffaele Gaito - Growth Hacker

Raffaele Gaito è uno scienziato del web marketing. Io lo definisco così.

È uno che non solo conosce le strategie, le piattaforme e le automazioni, ma lavora sui numeri in modo intelligente e creativo, e quando si parla di numeri, nessuno può fuggire da un’analisi fatta su dati qualitativi.

In questa fantastica intervista Raffaele, ospite e speaker del mio evento Autorevolezza LIVE 2018, ci racconta chi è il growth hacker e cosa possiamo fare oggi per migliorare la performance del nostro business e rendere le nostre strategie di web marketing più efficaci.

Raffaele Gaito il growth hacker più famoso d’Italia

Valerio: Ciao e ben ritrovati, sono Valerio Fioretti di Valerio.it, l’esperto numero uno per lo sviluppo di autorevolezza on-line. Oggi sono qui con Raffaele Gaito, un growth hacker, probabilmente il growth hacker più famoso d’Italia. “Gaìto” o “Gàito”?

Raffaele: “Gàito”, “Gàito”.

Valerio: “Gàito”? Ciao Raffaele, benvenuto.

Raffaele: Ciao Valerio, grazie.

Valerio: Raffaele è autore di questo bellissimo libro che è Growth Hacker: mindset e strumenti per far crescere il tuo business, edito da FrancoAngeli e che si trova su Amazon, nelle librerie e in tantissime altre location, sia on-line che off-line. Ok, benvenuto Raffaele.

Cominciamo con qualche domanda semplicissima. Dicci qualcosa di te, chi sei, da dove vieni e che cosa fai.

Raffaele: Io sono Raffaele Gaito, classe ’84 (quindi tra poco vado verso i 34, fra qualche mese) e sono di origini salernitane, anche se vivo in Inghilterra a Cambridge da un po’.

Nasco come un programmatore, ho una laurea in informatica. Ho frequentato l’università di Salerno, però fin da subito, fin da quando mi sono iscritto, il mio lato più tecnico è stato compensato da un lato un po’ più imprenditoriale.

Ho sempre fatto impresa fin da quando mi sono iscritto all’università, mi son pagato l’università facendo l’imprenditore, quando ancora si facevano i siti web e si facevano soldi con questi.

Valerio: Ok.

Raffaele: Ho iniziato così, come tanti di noi diciamo della…

Valerio: Sì, sì.

Raffaele: … della vecchia scuola. Da imprenditore… da tecnico, mettiamola così… I programmatori spesso hanno i paraocchi, non vedono oltre il codice, invece io, avendo anche un aspetto un po’ più imprenditoriale, mi ponevo il problema di “ok posso essere bravo quanto voglio a realizzare un prodotto, ma poi il prodotto come lo vendo? Come arrivano i primi clienti, come convinco le persone?”.

Lì mi sono appassionato mondo del web marketing e così via, di questo magari ne parliamo dopo.

Chi è e cosa fail growth hacker

Valerio: Ok. Senti, chi è il growth hacker, cioè che cosa fa?

È una buzzword, cioè una parola che viene utilizzata tantissimo in rete.

Ci sono una valanga di hashtag, ci sono un sacco di chiacchere, un sacco di blog post su questo, ma poi chiedono sempre “ma tu sei un growth hacker?”

Che cos’è un growth hacker?

Quello che fai tu è growth hacking?

Spiegaci che cosa è.

Raffaele: Sì, hai detto bene. Innanzitutto, è sicuramente una buzzword del momento, soprattutto in Italia, in America forse l’hype è già passato da un pochino. In Italia è una buzzword e viene usata a sproposito nella maggior parte dei casi.

Io tendo molto a cercare di semplificare un po’ il concetto: il growth hacking non è nient’altro che l’intersezione, l’unione di una serie di discipline, di cose che sono sempre esistite, si sono sempre fatte, sotto un cappello nuovo, un nome nuovo (che fa vendere anche i libri), con un processo ben definito, dei passaggi ben definiti e il supporto di framework, tool, modelli e così via.

È web marketing digitale insieme a product development e data analysis, quindi cose che singolarmente sono sempre esistite, ma per cui, qualcuno, un giorno ha detto “ma perché queste robe non le concepiamo come un unico processo?”.

In questo modo finisce un po’ il paradigma nel quale il prodotto e il marketing sono due cose separate, che avvengono in due momenti separati.

Li vivi come due lati di una stessa medaglia.

Valerio: Bene, quindi ho appena scoperto di essere un growth hacker dai tempi… insomma…

Raffaele: Infatti, quando do questa definizione, parecchi poi mi rispondono in questo modo.

Il libro #Growth Hacker

Valerio: Senti, questo libro come nasce, qual è l’idea che c’è dietro, il messaggio che volevi trasmettere?

Perché l’hai creato?

A parte il fatto di sfruttare le buzzword e avere successo con…

No scherzo, però da dove nasce l’idea di questo libro?

Parli anche di mindset, non solo di strumenti. Uno quando pensa al business, soprattutto il nostro, crede che chi lavora con marketing, siti Web e cose del genere sia lo smanettone che sta dietro alla tastiera, che conosce il codice, il CSS, che conosce gli strumenti, e che si ferma lì. Invece no, c’è anche una questione mentale, no?

Raffaele: Guarda, io ho spinto proprio tanto con l’editore per far sì che nel titolo ci fosse anche la parola “mindset”, perché per me è un bilanciamento, è 50/50. Purtroppo, viviamo in un’epoca che esalta la parte pratica, (quindi lo smanettone come dicevi tu).

Per qualche motivo oggi sei fico se sei quello che sa utilizzare i tool, soprattutto i giovanissimi hanno perso completamente di vista l’importanza della strategia, della visione. Fare business è prima di tutto quello, il tecnicismo arriva dopo.

Se non sai cosa stai facendo puoi essere bravissimo con un tool (che poi il tool passa, cambia nome, viene acquisito, viene chiuso, cambia interfaccia e così via), nel momento in cui il tool lo perdi, perdi quell’opportunità. Invece, è prima di tutto una mentalità, quindi ho spinto molto sulla questione della mentalità, anche all’interno del libro.

Questo è, secondo me, uno degli aspetti principali che poi ha portato il growth hacking agli imprenditori di qualsiasi dimensione, in qualsiasi settore, al di là dei tecnicismi, al di là dei tool e al di là degli strumenti.

Valerio: Senti, quindi il tuo cliente ideale qual è?

Raffaele: Guarda, io lavoro in realtà con clienti di ogni tipo, ti devo dire la verità. Quando ho iniziato a fare questa roba i primi che sono arrivati sono state, sicuramente, le start up (in realtà molto banalmente perché sono quelli un pochino più attenti a quello che arriva dagli Stati Uniti d’America, quindi avevano già sentito questa roba, già studiavano qualche caso di studio americano).

Se n’è parlato parecchio perché è una metodologia usata da Facebook, Instagram, Snapchat, Dropbox, tutti i big della Silicon Valley.

Sono stati, quindi, probabilmente quelli un po’ più pronti a recepire la novità. Passato quel momento, grazie al libro e a molta attività che ho fatto anche di evangelizzazione, di sensibilizzazione sul tema, sono arrivate anche imprese tradizionali.

Oggi ho tra i clienti anche PMI, professionisti, e nell’ultimo periodo, ti direi negli ultimi 6-9 mesi, anche qualche corporate. È una cosa bellissima perché uno magari pensa sempre “growth hacking = start up” e in realtà no, in realtà non è così.

Nel libro racconto anche l’esempio classico di Coca-Cola che è passata dal growth hacking

I clienti del growth hacker

Valerio: Ok. I tuoi clienti sono italiani?

Raffaele: Sì, io lavoro con clienti italiani.

Valerio: Con clienti italiani, ok. Quali sono le difficoltà che incontri (o che vedi) che oggi le imprese italiane hanno ad approcciarsi al digitale?

Raffaele: Questa è una bella domanda, perciò secondo me è fondamentale la parte di mindset prima del tecnicismo. È sempre molto difficile parlare di cambiamento quando arrivi all’interno di un’azienda, soprattutto se il tuo cliente è una grossa azienda.

Non puoi mai arrivare lì e dire all’imprenditore “ok, hai sbagliato tutto …”

Valerio: “Adesso facciamo come dico io”.

Raffaele: “… adesso ti faccio vedere, adesso sono io quello bravo, quello figo, e ti dico come si deve fare da domani, rivoluzioniamo tutto, processi, ecc.”, quello magari ti manda a f*****o, fa anche bene se utilizzi un approccio di questo tipo.

Quello che bisogna fare è, secondo me, innanzitutto partire dal basso, magari con quelli che possono essere dei progetti pilota, delle attività delimitate, anche lavorare all’interno di un team specifico, una “sandbox” (passami il termine).

Valerio: Sì.

Raffaele: Portare quindi i primi risultati così, nel piccolo. Questo più la parte dei casi studio, evangelizzazione, come dicevo prima, ti aiuta un pochino per volta a scardinare, a usarlo come piede di porco e poi magari arrivare a qualcosa di più grande.

Quello di cui c’è bisogno, secondo me, è una prima fase di informazione/formazione, proprio perché molto spesso le imprese non è che non sono pronte al growth hacking, non sono pronte neanche a quello che c’è prima.

Magari gli mancano molti di quegli strumenti, molta di quella terminologia, molti di quegli approcci ecc., che magari noi addetti ai lavori conosciamo bene e diamo per scontate. Immagino capiti pure a te.

Bisogna quindi fare un passettino indietro, ricordandosi che di fronte c’hai un interlocutore con il quale devi parlare in maniera semplice, senza paroloni, senza le buzzword.

Devi portare i numeri, parla con Excel invece di parlare con i pipponi che ci facciamo, noi, addetti ai lavori, per vendere di più.

Valerio: È vero, è vero. Senti, ma i growth hacker hanno tutti la barba? Perché…

Raffaele: No, no no…

Valerio: …tra social media manager e growth hackers sono tutti belli barbuti…

Raffaele: Per qualche motivo sono tutti belli barbuti, io tra l’altro son pure pelato, che è un’altra caratteristica tipica del digitale.

Autorevolezza nel growth hacking

Valerio: Senti una cosa, tu sai che io ho una fissa per l’autorevolezza, cioè per far crescere il proprio brand, per cui un uomo emerge dalla massa attraverso la comunicazione efficace ed efficiente del proprio messaggio, usando quella che io chiamo la propria voce.

Parlo quindi di far arrivare la propria voce alle persone più adatte a recepirla, così poi è molto più semplice il flusso di vendite, di acquisizioni, fidelizzazione, quello che si ha.

Il growth hacking può aiutare anche in questo, può intervenire nella parte dell’autorevolezza? (Io la chiamo “autorevolezza”, ma in realtà si parla fondamentalmente di branding, di brand awareness, tutto quello che ne consegue).

Raffaele: Assolutamente sì. Diciamo che una delle caratteristiche principali del growth hacking è che se guardiamo ad un classico funnel di vendita (senza entrare troppo nel dettaglio), può essere utilizzato in qualsiasi step di questo funnel, perché è un processo, fondamentalmente.

In quanto processo tu lo applichi dove hai l’esigenza. Nel caso dell’autorevolezza, o del branding, se vogliamo usare un’altra parola, semplicemente lo applichi nella parte alta del funnel.

Lo applichi quindi a tutto quello che avviene prima della vendita, come costruirsi un brand molto forte, raggiungere le persone giuste, aumentare la fiducia che le persone hanno verso di te e così via, per poi nel lungo periodo vendere qualcosa a queste persone.

Direi, quindi, assolutamente sì. Soprattutto per chi magari parte da zero e deve per esempio posizionarsi in una nicchia o creare una nicchia, una volta individuata quella che è la tua esigenza, applichi il processo di growth hacking nella parte alta del funnel, lì in quella che solitamente viene chiamata awareness, branding…

Valerio: Certo.

Raffaele: … e così via.

Gli strumenti del growth hacker

Valerio: Senti, quali sono, secondo te, i tre strumenti principali, quelli che ti piacciono di più, quelli che usi di più, quelli che ti danno più soddisfazione, quelli che ti piace di più utilizzare per te e i tuoi clienti?

Raffaele: Come strumenti intendi proprio i… o intendi… tool?

Valerio: Strumenti, piattaforme, tool…

Raffaele: Allora, guarda, io sono un grande fan dei dati qualitativi (anche qui si apre un’altra eterna lotta tra dati quantitativi e dati qualitativi). Ci siamo concentrati troppo sugli analytics e ci siamo dimenticati di parlare con i nostri clienti, questo è successo negli ultimi anni.

Tra alcuni degli strumenti che uso sempre, che faccio usare sempre ai miei clienti, vi è Hotjar.

È una bellissima piattaforma, è una suite di diversi strumentini utile per fare attività come le hit map, ma è utile anche per fare attività come le chat con i clienti (quindi fare delle survey, delle interviste in tempo reale e così via).

Hotjar è un bel pacchettino con tanti piccoli strumenti al loro interno utili per qualcosa di un pochino più specifico. In particolare, per la parte del fare le interviste con i clienti, ci sono un paio di tool utili.

Ad esempio, c’è Zendesk che è molto forte, Customerly, c’è questa macro categoria di strumenti che ti permettono di aprire, in pratica, quella famosa finestrella in basso a destra dove fai delle domande in tempo reale agli utenti.

Valerio: Ok.

Raffaele: Lo consiglio a chi ci sta guardando, utilizzatelo perché son dei tool che ti cambiano la vita. A volte scopri delle cose su come i tuoi clienti usano il tuo prodotto, su quello che pensano di te, che ti fanno poi, veramente, rivedere il tuo business.

Terzo, c’è tutto il filone dei test di usabilità, quindi anche qui rientriamo nella macro categoria del qualitativo, per cui avrai, dunque, degli strumenti come UsabilityHub, WhatUsersDo, e così via, quelli che ti permettono di fare praticamente quelli che una volta erano i focus group

Valerio: Sì.

Raffaele: … diciamo così, per gli amanti degli anni ’80, della pubblicità vecchia scuola. Ti permettono di farlo completamente online. Se io, da casa mia, voglio che 5 persone negli Stati Uniti, comprese tra i 25 e i 35 anni, di sesso maschile, provino il mio prodotto e mi diano un feedback, con tool di questo tipo posso farlo, ed è una bomba, se ci pensi. Posso farlo con spicci, seduto dal mio divano.

Privacy e Cambridge Analytica

Valerio: È una figata. Senti, questo mi porta a farti un’altra domanda. Mi è venuto in mente, visto che vivi a Cambridge, tutto quello che sta succedendo adesso in Cambridge Analytica, ovvero l’utilizzo che hanno fatto dei dati di questa raccolta di massa di 50 milioni di profili.

Non sono i profili come dicono nei telegiornali, secondo cui hanno violato 50 milioni di profili.

Non hanno violato 50 milioni di profili. Hanno visto le interconnessioni e i gusti, i trend, le conversazioni tra 50 milioni di persone e hanno capito quali erano le chiavi da girare, o meglio, dove andare a mettere il dito per cambiare le opinioni delle persone attraverso gli altri media, attraverso l’advertising.

Se quindi parlavano di Trump che stava con la pornodiva, vedevano quello e dovevano fare qualcos’altro per contrastare questo tipo di…

Comunque, queste cose sono importanti, poi adesso c’è tutto un discorso della privacy, il 25 maggio 2019 è entrato in vigore il GDPR europeo anche qui in Italia… insomma, un sacco di menate.

Però, tu, come la vedi questa questione del nostro Zuckerberg che tra un po’ se lo ritroverà a stelle e strisce?

Raffaele: Io penso che sicuramente è stata fatta molta disinformazione su questa tematica in particolare, anche tu lo dicevi. I giornali hanno parlato di violazione e non c’è stata nessuna violazione, siamo noi che abbiamo cliccato sulle applicazioni, siamo noi che accettavamo di utilizzare il giochino di turno dando in cambio in nostri dati. Qualcuno ha poi preso questi dati, ha fatto 2+2 e ha detto ok…

Valerio: Sì sì…

Raffaele: …se ti piace questa cosa, questa cosa e quest’altra cosa, probabilmente voti repubblicano. Tutto qua.

Valerio: Esatto.

Raffaele: È questo che è successo, ha dato questi dati in pasto a degli algoritmi e poi, in secondo luogo, l’ha utilizzato per mostrarti una pubblicità piuttosto che un’altra, ma è partito tutto da noi. Io, la riflessione che farei, è “ok, questi giganti hanno un grosso potere in mano, probabilmente è arrivato il momento di fare un po’ più attenzione, pensare ad una regolamentazione e così via.

Ma noi quanto stiamo facendo attenzione ai nostri dati, alla nostra privacy?”.

Valerio: Esattamente:

Raffaele: Forse ci siamo abituati a dare via troppo facilmente i nostri dati in maniera gratuita, per ottenere poi determinati servizi a cui adesso ci siamo abituati. Facciamo quindi, un attimo, un passettino indietro.

Sì, Facebook ha le sue colpe, sì Cambridge Analytica ha le sue colpe, però siamo anche noi cretini che per anni cliccavamo su qualsiasi cosa pur di averla gratuitamente, pur sapendo da sempre che quando il prodotto è gratuito il prodotto siamo noi…

Valerio: Certo…

Raffaele: …e ora è arrivato un caso emblematico che ci ha fatto svegliare, “ommioddio usano i nostri dati”. Sì, amici miei, son anni che usano i nostri dati, perciò questa roba è gratis.

Valerio: Ebbè, certo, c’è il vecchio detto “quando ti siedi ad un tavolo di poker e non sai chi è il pollo, forse il pollo sei tu”.

Raffaele: Esattamente.

Valerio: La stessa cosa vale…

Raffaele: Siamo noi i polli, Valerio, è questa la verità.

Consigli da growth hacker

Valerio: Senti, per concludere, se vogliamo dare qualche suggerimento a qualche imprenditore, professionista, freelance, che vuole sfruttare delle strategie o delle metodologie di growth hacking a proprio vantaggio, cosa suggeriresti?

Raffaele: Guarda, allora… anche qui, cercando di semplificare tantissimo, indipendentemente dalle buzzword, dai paroloni…

Valerio: Sì.

Raffaele: …dai trend, e così via, secondo me ci sono alcune cose che questo libro può dare come take away concreti.

Diciamo “ma ‘sta roba poi come la uso praticamente nel mio business?”.

La prima cosa che puoi fare è non considerare più il web marketing e il prodotto come due cose separate. È finita l’epoca nella quale sviluppo un prodotto per due anni e poi, una settimana prima del lancio, mi pongo il problema di come acquisisco utenti.

È troppo tardi raga, non si fa più questa cosa, andava bene 10 anni fa.

Oggi il web marketing e prodotto sono due lati di una stessa medaglia e vanno considerati come tali, il marketing è parte integrante del prodotto stesso. La seconda cosa è parlare con i vostri clienti, proprio ve ne prego, perché pur essendo una cosa talmente semplice, economica e potente, la fanno veramente in pochissimi.

Perciò, dicevo, il cliente diventa proprio parte del processo con il quale a volte realizziamo i prodotti, ottenendo feedback da loro, parlando in continuazione, iterando, andando a modificare quello che è il nostro prodotto, tornando da loro per dei feedback, e così via. I dati devono poi essere al centro della vostra strategia, della vostra visione. Io sono uno di quelli che crede che nel business non esista intuito, istinto o esperienza.

Esistono i dati, ed è facile riempirsi la bocca di paroloni come data driven, ma poi essere data driven in realtà non è per niente facile, perché devi sapere quali dati devi leggere, come leggerli, e soprattutto quali decisioni prendere in base a ciò che leggi.

Devi essere anche in grado di dire no quando le cose non funzionano e quando i dati ti dicono no.

Queste sono, secondo me, 3 take away molto molto semplici ma molto pragmatici, della quotidianità che uno può portarsi a casa dal growth hacking, da questo libro, e da questo macro argomento che abbiamo affrontato.

Valerio: Ok, perfetto, grazie. Bellissimo.

Raffaele: Grazie a te.

Valerio: Hai dato un sacco di spunti interessanti. Io direi che possiamo anche concludere qui, ti ringrazio tantissimo per essere stato qui con me, qui con noi.

Vi ricordo il libro di Raffaele, è questo qui, lo faccio proprio vedere bello bello, anzi c’è più luce qua. Eccolo qui.

Edito da FrancoAngeli, Growth Hacker: mindset e strumenti per far crescere il tuo business, ve lo consiglio tantissimo. Grazie ancora Raffaele.

Raffaele: Grazie a te Valerio.

Valerio: Ci ribecchiamo qui su Valerio.it in “PODCAST”, YouTube, sul blog, ovunque, basta che mi cercate e trovate questa e altre interessanti interviste.

Per adesso è tutto, grazie, e come sempre il mio auguro migliore: fai la differenza e crea un impatto, perché il mondo ti sta aspettando. Un saluto da Valerio. Ciao!

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About the author
Valerio Fioretti

Valerio Fioretti

Valerio Fioretti è lo specialista del web marketing per le piccole e medie imprese. Autore bestseller, speaker, consulente, formatore e marketing coach.

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